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disegno Giulia

disegno di Giulia

CONVEGNO ADOTTIAMOCI – dalla sfida alla scelta d’amore

Potenza – Matera – 06 maggio 2022

“Un caso di adozione: costruire insieme un ponte tra genitori biologici e genitori adottivi”

Equipe Astrid: Carlevarini Simona (pedagogista – Presidente dell”Associazione A.St.Ri.D.) Casiraghi Maria (Psicologa) – Greco Carmen (Psicoterapeuta) – Ponzoni Giovanni (Psicologo)

Primo contatto: avviene nell’ambito scolastico. Lo sguardo è al futuro. Relatrice: Simona Carlevarini Come pedagogista e Presidente attuale dell’Associazione ASTRID introduco l’esperienza condivisa con i colleghi, con un nucleo familiare che sta vivendo l’esperienza dell’adozione. Introduco il caso, partendo dal primo contatto avvenuto nell’ambito scolastico. Da più di 15 anni lavoro presso una Scuola storica di Milano che si occupa di formazione professionale a livello Regionale. Nel corso degli anni, mi è capitato di avere diversi allievi adottati e la collega Carmen Greco ne è testimone poiché è stata docente nella stessa scuola e ho condiviso con lei molte situazioni. Al momento sono coordinatrice dell’area pedagogica educativa e del sostegno. Il mio ruolo mi vede coinvolta nella parte relazionale con i ragazzi in aula, con i genitori e con gli enti che sono coinvolti. Nello specifico, data la mia formazione condivisa con i colleghi dell’associazione ASTRID, mi sento di dire che il mio ruolo è sempre più quello di fare da ponte tra la scuola e la famiglia. L’intento è quello di valorizzare il legame figlio/genitore e rendere la famiglia parte attiva nella formazione del figlio. Altro compito che sento importante è quello di dare spazio all’ascolto emotivo per poter sostenere il ragazzo nella sua crescita individuale e non solo dal punto di vista didattico e cognitivo. Il caso che abbiamo scelto di condividere è quello di Gianna (è così che chiameremo la ragazza in questione). Gianna è arrivata nella nostra scuola all’età di 15 anni ed è stata inserita al primo anno in uno dei corsi della nostra Fondazione, con una certificazione che le ha permesso di essere seguita con il sostegno. Il suo trascorso scolastico è stato difficoltoso per varie manifestazioni di malessere soprattutto nella relazione con i pari. La modalità di intervento con gli allievi che hanno diritto al sostegno nella nostra scuola si articola in questo modo: dopo la prima accoglienza c’è un’osservazione dell’allievo all’interno del gruppo classe, durante le lezioni in aula. Gli allievi DVA hanno tre ore garantite di sostegno settimanali riconosciute dalla regione Lombardia. In più se ci sono altri allievi all’interno della classe che possono essere supportati in vari momenti, anche da educatrici. Ciò che emergeva dall’osservazione di Gianna era il bisogno di essere al centro dell’attenzione: inizialmente cercava di dimostrarsi un’allieva ordinata, puntuale nelle consegne, precisa ma il livello di confusione e ambivalenza erano abbastanza chiari sin dalle prime lezioni. La classe spesso diventava per lei un palcoscenico per mettere in scena un quadro emotivo faticoso che spesso compagni e docenti fraintendevano e potevano giudicare in modo negativo. Alcuni degli atteggiamenti messi in atto da Gianna potevano essere: utilizzare un abbigliamento provocatorio o ambivalente; poteva arrivare vestita in modo molto infantile oppure arrivare con un abbigliamento molto seducente e quasi volgare. Condivideva racconti inventati di relazioni inesistenti o faceva allusioni a conoscenze di cantanti e di personaggi famosi; mostrava fotografie con sagome di cantanti in camera rendendosi talvolta anche ridicola. Spesso faceva richieste esplicite di contatto fisico: ”professoressa mi abbraccia?” Oppure “professoressa mi vuole bene?” Il lavoro con Gianna è iniziato attraverso il supporto didattico ma sin dall’inizio è stato improntato il lavoro partendo dall’ascolto emotivo. Ho creato con Gianna dei momenti in cui condividevamo lo stato emotivo, Gianna mi verbalizzava quanto sentiva sia all’interno della classe sia quando doveva affrontare un’interrogazione o una verifica che la preoccupava. Questa modalità aveva lo scopo di aprire un dialogo che non restasse in superficie ma andasse più in profondo. Gianna ha utilizzato questo modo fino alla fine del suo percorso formativo. In parallelo sono stati fatti colloqui con la famiglia, da subito ho chiesto la presenza di entrambi i genitori. Raccontata la sua storia di adozione (che nello specifico sentirete dai colleghi) ho cercato di sostenere i genitori nel loro ruolo importante come testimoni della storia di Gianna e delle sue caratteristiche. Ho espressamente verbalizzato la nostra linea di intervento: avremmo supportato Gianna a livello didattico e dal punto di vista emotivo senza sostituirci ai genitori ma creando un’alleanza che dovesse essere visibile e chiara anche a Gianna, tanto che verso la fine del colloquio la invitavo a partecipare anche per pochi minuti, per far sì che ci vedesse insieme a Scuola. Sono stati fatti colloqui costanti anche con lo psicologo che seguiva la ragazza e che ha fatto da raccordo con la rete che seguiva la coppia. Durante tali scambi è emerso che la svalutazione di Gianna, non ricondotta alla sua storia, veniva agita dai professionisti e spesso veniva messa sui genitori il senso di inadeguatezza e critica. I colloqui sono stati fatti durante tutto il primo anno di Gianna. Solo alla fine del primo anno scolastico mi è stata comunicata la decisione dell’équipe ( che ha seguito il caso per tre anni) di interrompere il lavoro perché avevano provato a sostenere il nucleo familiare senza riuscire a portare giovamento. Prevalentemente il giudizio negativo nei confronti della coppia genitoriale ha fatto interrompere il supporto. Questa interruzione del percorso è stato motivo di grande disorientamento per la coppia che ha messo in discussione la propria capacità genitoriale e il proprio valore individuale. Durante i nostri colloqui a scuola ho sempre cercato di sostenere la coppia nel loro ruolo, forse per questo motivo mi hanno espressamente chiesto aiuto chiedendomi di poter fare un percorso con me, ovviamente non potendo seguirli direttamente ho dato i contatti dei colleghi che utilizzano lo stesso linguaggio. Dal momento in cui è iniziato il percorso con i colleghi il lavoro a scuola è stato più fluido. L’osservazione delle dinamiche mosse da Gianna a scuola è stata condivisa con regolarità con i colleghi prima delle sedute in modo che potesse essere uno spunto di confronto con i genitori. In questo lavoro è stato utile e necessario il confronto e la condivisione dell’aspetto emotivo e di quanto portava Gianna con i colleghi, in particolare è stato molto utile avere un confronto costante con una docente che è stata scelta da Gianna come vice mamma, dati forse i modi gentili e accoglienti della collega. Grazie alla comprensione di tale dinamica la collega non si è mai prestata a questa sostituzione ma sempre nominato la mamma come punto di riferimento, permettendo una maggior chiarezza alla ragazza. Facendo una riflessione, viene da dire che se si vuole che la scuola sia una piattaforma di lancio per gli studenti, si deve procedere mettendo insieme tutte le voci, dando in particolare voce alla storia dell’allievo e all’aspetto emotivo. Se ci fossimo fermati al giudizio di ciò che Gianna mostrava all’interno della scuola e fuori, probabilmente il suo percorso formativo non avrebbe avuto un riscontro positivo ma ci si sarebbe fermati soltanto al giudicare un comportamento e quindi una storia come non adeguata, rispondendo così al suo vissuto di abbandono e di svalutazione. Questa modalità di lavoro ha permesso di accompagnare Gianna in una formazione che l’ha vista terminare il primo traguardo raggiungendo una Qualifica professionale, di frequentare il 4 anno e acquisire un Diploma di tecnico professionale e frequentare il 5 anno in una scuola statale a noi affine facendole raggiungere un Diploma di Grafica Pubblicitaria. La valorizzazione della ragazza, della sua storia e delle risorse a disposizione tra cui i genitori adottivi hanno permesso di superare la svalutazione, dando anche supporto alla coppia genitoriale in questo momento difficile di crescita delle figlie.

Presa in carico del nucleo familiare: dinamiche di coppia e genitoriali. Lo sguardo è sul presente. Relatori: Maria Casiraghi e Giovanni Ponzoni La presa in carico avviene con sedute bisettimanali, alternandole una con i genitori e l’altra con la ragazza insieme ai due genitori. Lo scopo del lavoro con i genitori è di rileggere e decodificare ciò che avviene nella coppia, tra i genitori e le due figlie adottive Gianna e Bice (sorelle biologiche) e ricostruire la storia dell’adozione. Il lavoro con la ragazza è di rileggere con lei, insieme ai genitori, i fatti che avvengono nel quotidiano in famiglia, a scuola, con gli amici e ricostruire la storia passata. Gianna ha 15 anni, frequenta un Corso di Formazione professionale. I genitori chiedono la presa in carico perché la figlia ha episodi di autolesionismo, disturbi del sonno e dell’alimentazione, ha difficoltà ad uscire di casa e nella resa scolastica. Esce di casa per andare a scuola e a far visita ai nonni se è accompagnata dai genitori. Afferma di essere amica di una coetanea che ha un difficile rapporto con la madre e di un compagno e di essere legata ad un compagno di scuola, un ragazzo adottato, di origine straniera. Gianna è stata adottata a 5 anni, è maggiore di un anno di Bice. Nel lavoro con i genitori adottivi emerge che Gianna, insieme alla sorella, è stata allontanata dai genitori naturali nel suo primo anno di scuola dell”Infanzia, in seguito alla segnalazione della scuola stessa perché presentava segni di mancato accudimento: malnutrizione, gravi deficit nelle cure igieniche, presenza di parassitosi. Inizialmente sono state affidate a una comunità per minori poi, con procedura d’urgenza, sono affidate a questa coppia che in seguito diventa adozione per entrambe le sorelle. All’interno della coppia i rapporti spesso sono conflittuali, risentono dei vissuti portati dalle due figlie: c’è disaccordo tra loro genitori sugli atteggiamenti e le risposte educative che si adottano, è agita la competizione, la comunicazione appare più normativa e meno affettiva. Talvolta all’interno della coppia si agiscono reazioni di attacco, fraintendimenti , sospetti di tradimento. Il lavoro consiste nel rileggere questo materiale per ricondurlo alle richieste negate e mascherate delle due bambine. Ciò permette di darsi un linguaggio comune e un’intesa fra i due genitori che possono decodificare i comportamenti delle figlie e le proiezioni nel loro rapporto di coppia. Nel lavoro con Gianna si ricostruisce il percorso scolastico di cui lei ha una visione della realtà molto deformata: si racconta capace, nega la bocciatura avuta, nega la necessità del sostegno che l’ha affiancata negli anni precedenti a scuola, dell’isolamento che vive nel rapporto con i coetanei, nega il difficile rapporto che ha con il corpo, verso la propria salute e banalizza l’affiancamento avuto dallo psicologo negli anni precedenti. Emergono inoltre i ricordi dei tre anni vissuti con i genitori biologici e la sorella minore, l’allontanamento da loro, la permanenza nella struttura di accoglienza e l’inserimento in famiglia di entrambe con i genitori adottivi. All’inizio Gianna si presenta alle sedute con un atteggiamento molto infantile, vestita da fatina con una corona in testa, porta sempre con sé un unicorno e dice di averne altri a casa, afferma siano i suoi figli. Ha un atteggiamento seduttivo e preferenziale verso il padre; altalenante fra oppositivo, rabbioso, conflittuale e richiedente affettivo con la madre. Con l’ausilio dei genitori riesce a raccontare gli atteggiamenti bizzarri che manifesta: nasconde il cibo nel cassetto e lo lascia ammuffire, l’alimentazione carente e disordinata per quantità e tipologia di alimenti, i tentativi che mette in atto per compensare l’insonnia. Dopo circa sei mesi dall’inizio delle sedute, posta sui social una lettera indirizzata alla madre naturale dove si racconta e fa il punto di se stessa, che i genitori vedono e portano in seduta. Ne leggiamo alcune parti. “Mi hai almeno voluto bene? Hai pianto quando mi hanno portata via con mia sorella? Hai potuto risolvere i problemi che avevi? Sai quanti anni faccio? Mamma voglio abbracciarti ma non posso perché hanno chiuso il fascicolo dentro il tribunale. Alle Medie ho conosciuto Marta e Domenico, sono insorti problemi alimentari. Speravi che diventassi forte, mi dispiace sono fragilissima, ti ho deluso. Mi faccio male, mi taglio, è l’unica cosa che mi fa sentire un po’ meglio quando vado in depressione. Mia sorella ti ha dimenticata perché si è adattata alla perfezione alla nostra famiglia, i signori che mi hanno adottata li chiamo mamma e papà perché senno si offenderebbero. Trattano meglio mia sorella che me. Se devo essere sincera non li riconosco come genitori, li odio. Ho iniziato a tagliarmi quando sono rimasta in castigo perché ho mandato una foto della mia cosa (genitali) a Domenico. Non mangiavo più. Poi lui è tornato e prima stavo un po’ meglio. Ora no perché sto andando da degli psicologi e tu mi manchi. Mamma mi sento sola in questo mondo anche se ci sono Ma e Dome, ho paura che prima o poi mi abbandonano pure loro e io non voglio. Io e Ma siamo sposate, ma lei è anche come una mamma, mentre Dome sogno che succeda qualcosa con lui, è mio padre (cancellato). Ma guardiamo in faccia la realtà, chi vorrebbe una ragazza fragile che si taglia? Nessuno. Lui è anche mio papà. Vorrei essere la sua Best, vorrei avere un figlio a 18 anni, tenerlo stretto e amarlo, cosa che tu non hai fatto con me. Quando vedo le mamme con i figli mi viene un vuoto che mi fa male. Ti prego non dirmi che ti sei fatta una nuova famiglia perché io non sono riuscita a dimenticarti se mi hai dimenticata vuol dire che per te non sono mai esistita. Mamma voglio raccontarti tantissime cose, ma dato che non ci sei devo sfogarmi con Marta e Domenico. Ma Marta è in un periodo fragile, Dome è in un altro problema, quindi mi chiudo dentro ogni notte e va a finire che non dormo. Mamma dimmi che non ti sei fatta un’altra famiglia dimenticandomi. Ti voglio bene tua figlia”. Nel tempo Gianna si fa sempre più attiva sui social: posta racconti, messaggi, fotografie che la espongono a rischi, visto che utilizza modalità seduttive ed erotiche. Attraverso i genitori si è fatto un lavoro di lettura e contenimento di tali rischi oltre ad aver sostenuto Gianna nell’ottenere dei successi, come reggere le frustrazioni e le difficoltà nel rapporto con i compagni di scuola e il ragazzo che dice di frequentare; affrontare le attività di tirocinio che l’hanno portata a misurarsi con il mondo del lavoro ottenendo espliciti apprezzamenti; conseguire il diploma scolastico; scegliere e frequentare un corso di specializzazione. Con la ricostruzione della storia originaria, attraverso il racconto dei ricordi si fa evidente la necessità di un lavoro sui traumi che la ragazza ha vissuto prima dell’adozione e che presiedono alle sue reazioni e ai suoi comportamenti nel presente. I genitori appoggiano e sostengono la figlia affinché affronti questa ulteriore indagine anche se fa molto spavento. Si chiede l’intervento psicoterapeutico alla collega Carmen Greco. Le sedute avvengono con la collega psicoterapeuta alla presenza di Gianna, dei genitori e di uno di noi. Emergono in questa fase degli episodi traumatici vissuti dai genitori stessi. La vita dei figli riporta in superficie la storia di figlio del genitore. Nel frattempo anche la sorella ha iniziato un percorso, insieme alla madre ma con un’altra collega. Parallelamente noi continuiamo il percorso con i genitori, si utilizzano i fatti di quanto avviene in famiglia e nella coppia, a partire dal sentire emotivo e dalla restituzione dei vissuti, allo scopo di fare chiarezza, preservare l’alleanza genitoriale e raccordare ciò che avviene con e tra le figlie, con i contatti sociali delle stesse. Durante tutti gli anni del percorso ( dalla fine del 2015 a metà 2019) all’occorrenza, ci si è raccordati fra colleghi: nei primi anni con la collega Carlevarini e poi con la collega Greco. Il lavoro in rete è fondamentale per il proseguo ed efficacia del percorso, permette di superare i momenti di blocco o di disorientamento quando insorgono.

Lavoro sui nuclei profondi. Lo sguardo è sul passato. Relatrice: Carmen Greco Il lavoro mensile sui nuclei profondi a favore di Gianna si è svolto in compresenza con la collega Maria Casiraghi (che rappresentava il collegamento con lo spazio dei genitori). Premettiamo che è stato fondamentale il costante coordinamento tra l’equipe dei professionisti composta dalla collega Simona Carlevarini, responsabile del progetto pedagogico nella scuola professionale frequentata da Gianna, gli psicologi Giovanni Ponzoni e Maria Casiraghi, psicologi referenti per la coppia genitoriale, i quali hanno mantenuto un setting quindicinale. Durante le sedute sui nuclei traumatici, oltre Gianna erano presenti anche i due genitori adottivi. E’ stato importante costruire un’alleanza terapeutica con Gianna: inizialmente era sospettosa, evitante e provocatoria. Le ho spiegato cosa avremmo fatto e che protocollo avrei utilizzato. I genitori, che si sono rivelati dei veri e propri co-terapeuti, erano già stati preparati grazie al lavoro svolto dai colleghi (Giovanni Ponzoni e Maria Casiraghi) durante le sedute di coppia. Abbiamo utilizzato L’EMDR (eyes movement desensitization and reprocessing) per rielaborare le esperienze traumatiche di Gianna. Premettiamo che qualsiasi esperienza negativa che non sia stata integrata o elaborata costituisce un trauma, indipendentemente dalla sua natura. L’EMDR (sviluppato originariamente nel 1987 dall’americana Francine Shapiro per curare le vittime del ptsd, ovvero del disturbo post traumatico da stress) è un metodo terapeutico standardizzato e scientificamente comprovato utilizzato per il trattamento dei disturbi causati da eventi stressanti e traumatici. Il metodo prevede un un lavoro sui ricordi traumatici in cui il paziente si concentra sull’immagine più disturbante, sulla cognizione negativa associata, e sul disagio emotivo e/o corporeo provato. Durante le sedute di EMDR, il terapeuta facilita l’elaborazione delle informazioni disfunzionale dell’evento fino alla risoluzione degli aspetti emotivi. L’EMDR non si concentra sull’evento traumatico in sé ma pone maggior attenzione nel qui ed ora dell’esperienza del paziente, alle sue emozioni e alle manifestazioni disturbanti che sono generate dal ricordo dell’evento traumatico. Il trattamento secondo il protocollo EMDR si basa sulla stimolazione bilaterale del cervello effettuata attraverso il movimento alternato della mano del terapeuta che invita il paziente a seguirlo con gli occhi. L’EMDR è una procedura che facilita il processo di cura attraverso l’elaborazione dei vissuti traumatici e dolorosi. Gli obiettivi prefissati nel lavoro a favore di Gianna sono stati: – ridurre i sintomi del disagio e il dolore associato, – guarire i ricordi traumatici, – favorire la crescita personale. Date queste premesse, inizialmente Gianna ha avuto accesso ai ricordi cosiddetti neutri risalenti ai primi anni d’istituto: ha recuperato le tracce mnestiche delle suore che la accudivano e dei genitori biologici che venivano a farle visita, portandole dei giochi. Ha evocato l’immagine della mamma biologica che la pettinava (una donna un po’ robusta con i capelli neri unti lisci lunghi). Poi ha ricordato i primi momenti con i genitori adottivi: il papà adottivo sdraiato per terra e Gianna piccolina intorno ai tre anni che giocava…La sensazione era quella di un gigante buono. E’ interessante ricordare come inizialmente Gianna accedesse alle sedute vestita da bambina piccola pur avendo circa 17 anni (maglia con unicorno e coroncina). Abbiamo utilizzato questi segnalatori preziosi come tracce evocative per favorire l’accesso ai ricordi risalenti alla prima infanzia. Le informazioni fornite dai genitori adottivi sono state davvero preziose per favorire l’emersione dei nuclei traumatici. Man mano che si procedeva, Gianna è riuscita a recuperare tracce degli episodi più dolorosi e terrorizzanti. E’ emerso un ricordo di una retata: immagini di coltelli, polizia, bottiglie di vetro, collutazioni in una stanza piena di persone e fumo. L’ambientazione faceva pensare ad un centro sociale e ad una retata della polizia per uso e/o spaccio di sostanze. Un altro ricordo emerso riguardava un abuso subito da Gianna dal padre biologico. Gianna era sotto la doccia con il padre biologico che si faceva toccare nelle parti intime dalla bambina. E’ emerso un altro ricordo di Gianna neonata appoggiata sulla lavatrice e il padre che si masturbava. Durante l’elaborazione di questi ricordi, Gianna si presentava in seduta vestita in maniera provocatoria e con atteggiamenti molto sessualizzati. E’ come se ci desse dei segnali evidenti per elaborare ricordi riguardati la sfera erotica. L’aspetto che ci ha sempre confortato nel continuare a procedere in questa direzione è stato il fatto che Gianna ha sempre partecipato alle sedute ed ha sempre permesso la compresenza dei due genitori, i quali hanno sempre dimostrato una tenuta emotiva straordinaria ed una alleanza solida che ha consentito l’efficacia dell’intervento. Man mano che si procedeva Gianna ha inoltre riportato un ricordo di bullismo risalente alle scuole medie. La causa scatenante che ha permesso l’accesso al nucleo traumatico è stata la costante sensazione di soffocamento che Gianna provava quando prendeva l’ascensore. Lavorando con l’EMDR e partendo dalle sensazioni fisiche provate ogni volta che Gianna saliva in ascensore (soffocamento, panico, sensazione di pericolo, non avere via d’uscita…), abbiamo recuperato il ricordo di quando veniva bullizzata a suola. Il lavoro sui nuclei traumatici è entrato in crisi quando la mamma adottiva si è ricordata di essere stata a sua volta abusata da un vicino di casa quando lei era piccola. Abbiamo suggerito alla mamma di lavorare su se stessa, ma di fatto non ha mai accettato. Ha mantenuto prevalentemente il ruolo di educatrice (una vera e propria difesa dell’io), piuttosto che di persona che ha subito a sua volta un trauma, risvegliato grazie al lavoro della figlia. E’ stato sicuramente questo un nodo che ha fatto entrare in crisi il lavoro terapeutico. Fortunatamente il marito ha dimostrato sempre una grande solidità e adeguatezza delle sue azioni, aiutando la moglie a superare i momenti difficili e svolgendo un prezioso ruolo di mediatore nei momenti di conflitto madre-figlia e svolgendo un ruolo protettivo anche nella gestione dei vari spostamenti di Gianna: eventi social ed incontri con i vari idoli… Gradualmente il lavoro si è rallentato fino poi ad interrompersi. Sicuramente possiamo dire che Gianna, alla fine del lavoro era più orientata e meno confusa. Ha riconosciuto la risorsa dei genitori biologici che le hanno donato la vita e che a causa della loro fragilità si sono sottratti alla loro funzione genitoriale. “Quei genitori” hanno affidato le loro figlie a due genitori adottivi che si dono fatti carico di proseguire in una modalità più protetta il lavoro iniziato da chi ha dato la vita a Gianna. Questo costante ponte di collegamento tra genitori biologici e genitori adottivi è stato presentificato nel setting con l’inserimento di due sedie vuote che inizialmente sono state vissute come elementi disturbanti, ma che alla fine sono state integrate come elemento necessario per dare visibilità e riconoscimento alla complessità della storia di Gianna. La gratitudine, pur nel dolore e nella rabbia di una storia fatta di ferite (ricordiamo che inizialmente Gianna si tagliava quasi ad evocare le ferite dell’anima) è finalmente stata nominata sia nei confronti dei genitori biologici (datori di vita) sia nei confronti dei genitori adottivi fautori di progetti vitali. Il ponte di collegamento tra genitori biologici e genitori adottivi resta la vita che è sempre prevalsa sull’angoscia di morte. La vergogna, l’angoscia, la disperazione, il senso di colpa, la svalutazione, l’impotenza, la rabbia, l’ingiustizia si sono attenuate, lasciando spazio alla fiducia e alla speranza.

Bibliografia: Vittorio Volpi: MANUALE DI PSICANALISI DELL’ETA’ EVOLUTIVA – ed. Analisi Psicologica 1984. Maria Casiraghi – Carmen Greco – Elena Rovagnati: SENTIMENTI A SCUOLA – ed. Marna 2007. Francine Shapiro: Lasciare il PASSATO nel PASSATO – tecniche di auto-aiuto nell’EMDR – ed. Astrolabio 2013.