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La separazione dal genitore, il passaggio da casa a scuola
illustrazione di Maria Marta Bertolio

LA SEPARAZIONE DAL GENITORE: il passaggio da casa a scuola*

Il genitore sente la responsabilità di inserire il proprio figlio nel contesto sociale, perché ciò sancisce la normalità del figlio stesso ed è garanzia per il suo futuro, ma nel contempo il genitore si trova a mediare tra il vissuto del figlio e le richieste dell’organizzazione sociale.

Quante volte abbiamo assistito a questa scena? Sembra proprio che il genitore sia causa del pianto del bambino. Ciò è riconfermato dalla persona a cui egli affida il figlio: quest’ultimo, dopo l’allontanamento del genitore, effettivamente si calma e si mette a giocare, sembra non pensare più al genitore, sembra che questi sia sparito letteralmente dalla mente del piccolo, con sollievo dell’insegnante. Questo è quello che sembra, ad una prima lettura.

Cosa prova il genitore, in questa circostanza?

Durante il momento del saluto, quando il figlio piange, il genitore si sente in colpa perché non riesce a fermare il pianto, ed inoltre è gravato dall’impatto emotivo che tale pianto ha su tutti i protagonisti della situazione: è lui il responsabile, ed il messaggio dell’insegnante lo conferma quale elemento di disturbo, svalutandolo contemporaneamente quale risorsa per il figlio. Il disagio del figlio appare essere incapacità del genitore: in effetti il genitore avverte la necessità emotiva del figlio, ma si trova a negarla per adeguarsi alla richiesta sociale normalizzante.

Ma cos’è questo pianto? E cos’è questo repentino cambiamento del bambino, allo sparire del genitore?

È evidente: il bambino piange per il dolore dell’abbandono; è un tentativo estremo di far restare con sé la risorsa emotiva, colui che lo fa star bene, nutrendolo di affetto e di coccole.

Il bambino piccolo è ancorato al suo pensiero concreto:

– il genitore c’è = sono al sicuro;

– il genitore non c’è, non è presente = il genitore non esiste più, sono solo.

È per questo che la separazione, a questa età, viene vissuta talvolta con intensità drammatica, e si deve controbilanciare con infinite conferme e rassicurazioni.

Le esigenze della scuola vanno spesso a stridere con questa normale difficoltà del bambino e con la necessità che in lui via via riesca a crearsi quello che in psicanalisi viene chiamato la costanza dell’oggetto, ovvero la possibilità di rendersi conto che il genitore c’è, e ama, anche quando fisicamente non è presente: intanto c’è l’esigenza che il bambino diventi il più presto possibile autonomo, anche nel gestire i propri sentimenti; in più, esiste anche un giudizio sociale fortemente negativo, soprattutto per i maschi, sul pianto.

Rispondiamo allora alla seconda domanda: la tranquillità che il bambino sembra avere quando il genitore va via, in effetti è il risultato della chiusura emotiva (automatica, più che intenzionale) che egli pratica su di sé per sentire meno dolore: per sopravvivere all’abbandono. Abbiamo detto: il genitore sembra sparire dalla mente del bambino. Perché “se lo penso e non c’è, soffro troppo”.

La sopravvivenza risulta così essere, in questo contesto, l’esigenza maggiore per il bambino, a scapito dell’esigenza che i differenti tempi di crescita vengano rispettati, per conquistare la sopracitata costanza dell’oggetto: “posso tollerare l’assenza del genitore perché torna, e perché il suo affetto mi rassicura anche quando non lo vedo”.

Il senso di colpa che il genitore può provare è normale, per reazione ai segnali di fatica del proprio figlio (un genitore non vorrebbe mai che il figlio soffra, fatichi), ma è anche superabile, tenendo conto dei tempi necessari del figlio.

Esistono tentativi della scuola per alleviare questo dolore inevitabile della separazione: i tempi di inserimento graduali, il lasciare ai bambini oggetti, foto portate da casa (i cosiddetti oggetti transizionali).

La scuola, se dotata di strumenti e conoscenze adeguate, può fare molto per sostenere la crescita armonica del bambino, valorizzando e non negando il suo mondo emotivo: la difficoltà principale, per la scuola, è che ogni bambino ha tempi diversi in questa crescita. Cogliere che l’autonomia si raggiunge quanto più si sono interiorizzati i riferimenti naturali, ovvero il proprio genitore omologo, porta ad una differente sensibilità della scuola rispetto ai tempi di crescita del bambino.

Fondamentale è che si comprenda che con il genitore omologo il figlio può piangere, perché mantiene aperto il canale emotivo e manifesta il dolore, ricevendo però nel contempo la forza che gli permette di maturare la capacità di affrontare la situazione. Ecco allora l’importanza di dedicare tempo al saluto, anche bagnato di lacrime, ma che ha il valore dell’arrivederci e non della sparizione. È importante il rito del bacio, un gesto apertamente affettuoso del bambino verso il genitore, un vero antidoto alla chiusura emotiva.

*Dal Capitolo 1 di Sentimenti a scuola. Tutti i diritti riservati © Copyright 2002, 2003 Astrid.

“Sentimenti a scuola” tratta temi che ci stanno molto a cuore. Programmazioni, attività, organizzazioni: nella scuola ha spazio il proprio mondo emotivo?    

È dato valore di scientificità ai sentimenti?

Esistono risposte, efficaci e condivisibili, alle richieste emotive degli studenti in modo da favorire l’apprendimento scolastico? 

Il benessere psico-fisico del bambino, di conseguenza il suo rendimento scolastico, è ancora da ritenersi effetto di un buon rapporto che la famiglia ha al proprio interno e  con il figlio, oppure si apre qualche dubbio in merito a questa lettura? 

Quanto è conosciuta  l’esperienza di ricercatori  che pongono il disturbo psico-affettivo del bambino come causa dei disturbi nella relazione della famiglia e nella scuola?

Perché c’è un calo di interesse per la scuola, un aumento di episodi  violenti, a scuola e in famiglia, c’è disamore per la vita (si legga suicidio, tossicomanie, disturbi psicologici nei bambini ed adolescenti ecc…)?

Sono domande che raccogliamo quotidianamente nella scuola e fuori. Ci sono poste dai fatti che succedono, ma soprattutto ci hanno stimolato nel desiderio di condividere conoscenze, da noi sperimentate con risultati evidenti. Possono ricucire quelle distanze che appaiono sempre di più fra la domanda della persona e la risposta dell’istituzione.

Il libro noi lo abbiamo pensato come strumento di confronto e studio, sia per gli insegnanti che per i genitori, per coloro che desiderano affinare nuovi strumenti conoscitivi nel campo dell’educazione.

Un modo, anche, per unire le forze e continuare la strada, della ricerca e del confronto, aperta dal dott. Volpi con il metodo C.I.R.S.O.P.E.