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La sessualità in età evolutiva, come interpretare e gestire i messaggi dei bambini
illustrazione di Maria Marta Bertolio

La sessualità in età evolutiva: come interpretare e gestire i messaggi dei bambini

di Elena Rovagnati, Maria Casiraghi
Scuola Materna Cermenate, 2/2/2002

 

PREMESSA DI METODO

La struttura della serata prevede la relazione sull’argomento ed un momento di approfondimento in due gruppi, sugli spunti dati dalla relazione. Questo lavoro in gruppi viene poi brevemente condiviso a gruppi riuniti per concludere la serata.

La motivazione del lavoro in gruppi è duplice:

  • da una parte è di carattere “tecnico”, nel senso che il gruppo più piccolo dà maggiori possibilità di intervento a ciascuno rispetto al gruppo grande,
  • dall’altra, vuole rimandare alla nostra impostazione teorica, dove il genitore viene considerato esperto (del proprio figlio, dunque da un punto di vista qualitativo) alla stregua dell’esperto in psicologia dell’età evolutiva (la cui esperienza professionale è piuttosto quantitativa perché incontra molte situazioni).

Queste due competenze possono essere di fatto complementari e contribuire assieme ad una reale ricerca operativa per il benessere dei bambini.

Con questo intento di ricerca e collaborazione, vogliamo condividere con voi, rispetto all’argomento scelto, non solo delle indicazioni specifiche (che risultano comunque generiche, se si desidera applicarle al proprio figlio) quanto piuttosto il nostro strumento di lavoro, perché il genitore riesca ad orientarsi di volta in volta nella situazione in cui il figlio lo chiama a rispondere.

Questo metodo, come vedremo più ampiamente in seguito, si basa fondamentalmente su due cardini:

  • l’ascolto dei propri sentimenti, sensazioni, stati d’animo
  • il legittimarsi quello che si sente come “materia di intervento educativo”, ovvero legittimarsi il proprio valore fondamentale di figura essenziale ed indispensabile di riferimento per il proprio figlio, in particolare quello dello stesso sesso (più di qualsiasi altra figura educante).


Intervento di Maria Casiraghi

Questa serata è fra adulti che si ritrovano a riflettere sul bambino.
Per questo motivo ci inoltriamo nella tematica, la sessualità in età evolutiva, mettendoci prima di tutto in sintonia utilizzando il modo più facile, per il bambino, per ascoltare. Di ascoltare anche cose scomode che danno imbarazzo, vergogna, timore, ma anche suscitano curiosità ed interesse vitale, perché toccano argomenti strettamente legati al significato della vita.
Utilizziamo cioè la fiaba.

L’uso della fiaba come strumento di prevenzione e di aiuto nei disturbi della sessualità infantile.

L’uso della fiaba, nella facilitazione della relazione genitore-figlio, risulta particolarmente efficace quando ci si trova di fronte alla chiusura, al silenzio o all’imbarazzo, a gestire tematiche come quelle della sessualità infantile.
L’introduzione del personaggio nella fiaba, abbassa molto il timore e rassicura, attraverso un meccanismo di proiezione che rende più gestibile l’intensità delle emozioni.La certezza del lieto fine inoltre, favorisce l’ascolto e quindi l’accoglienza del messaggio proposto.

 

La paura di scomparire

di Carmen Greco


C’era una volta un paese dove viveva un bambino di nome Gelsomino che aveva una gran paura: aveva paura di scomparire e così per sentirsi rassicurato e per essere certo che esisteva per davvero si toccava dappertutto : si toccava la faccia, le mani, le gambe, le braccia e persino il pisello.
Si diceva che il nostro Gelsomino fosse stato vittima di un incantesimo del mago MI TOCCO DAPPERTUTTO che era proprio invidioso del fatto che Gelsomino era felice nell’abbraccio del papà.
E così aveva fatto un incantesimo pronunciando questa formula magica: ” Abracadabra, abracadabru per non scomparire dovrai toccarti solo tu” . E così Gelsomino per essere sicuro di esserci per davvero ogni giorno continuava a toccarsi dappertutto.
Però ad un certo punto Gelsomino era proprio stufo e così decise di andare a trovare il dr.ESISTO PER DAVVERO, grande esperto di esistenza e soprattutto gran conoscitore dei trucchi del mago MI TOCCO DAPPERTUTTO.
Gelsomino intraprese così questo viaggio che non era certo privo di ostacoli.
Per fortuna per orientarsi aveva con sé la bussola magica che gli aveva regalato il suo papà e che aveva da sempre tenuto con sé. Era una bussola davvero speciale che non solo gli dava coraggio, ma lo proteggeva da ogni pericolo.
Il primo ostacolo da superare era la foresta che rende invisibile. Gelsomino però con la sua bussola riuscì ad attraversarla senza scomparire. Mentre Gelsomino passava attraverso la foresta, la bussola improvvisamente si trasformò in uno scudo magico che lo proteggeva e gli impediva di scomparire.
Il secondo ostacolo da superare era il villaggio con gli specchi che deformano ogni parte del corpo. Ma grazie alla bussola gli specchi si abbassarono e si trasformarono in tappeti che gli indicavano il sentiero da fare.
Il terzo ostacolo era la palude che fa scomparire il pisello e trasforma i maschi in bambine. Anche in questo caso la bussola lo aiutò e così Gelsomino potè attraversare la palude senza perdere il suo pisello e continuando a restare un maschio come il suo papà.
Finalmente, dopo tante peripezie, arrivò dal dr. ESISTO PER DAVVERO , al quale raccontò l’accaduto.
Il dottore dal suo librone tirò fuori la soluzione: ” Il caso è un po’ complicato – disse – ma l’incantesimo può essere annullato. Per esistere veramente non c’è bisogno di toccarti giornalmente. L’abbraccio del tuo papà ti riscalderà e dalla paura di scomparire proteggerà. L’abbraccio ti fa esistere veramente, dà coraggio, è delicato e non offende. Così crescerai come il tuo papà e la vita ti sorriderà.”
Gelsomino si sentì rassicurato dalle parole del dr.ESISTO PER DAVVERO . Lo ringraziò e ritornò a casa dal suo papà che aveva continuato a volergli bene. Gelsomino aveva capito che nell’abbraccio del suo papà aveva la certezza di continuare ad esistere e così smise di toccarsi.
Chi smise di esistere era invece il mago MI TOCCO DAPPERTUTTO che scomparve roso dalla sua stessa invidia.

Di fronte al tema da voi proposto ci siamo chieste “Da cosa nasce la richiesta di questi genitori? Dal fatto che sentono imbarazzo, disagio quando devono rispondere alle domande che pongono i bambini?”

È vero che attorno alla sessualità ci sono argomenti che toccano l’intimità, ma possiamo anche dire che i genitori registrano attraverso il proprio disagio nel dare risposte ai figli, il disagio stesso dei figli nel porre quelle domande. Possiamo ulteriormente dire che il disagio che il figlio suscita, soprattutto quando va sui genitali, è soprattutto legato al disagio del figlio a chiedere conferma e rassicurazione del rapporto d’amore con il genitore (noi facciamo riferimento all’omologo, il genitore dello stesso sesso del figlio). Questo perché il figlio maschio ha una sensibilità, cioè un modo di porsi di fronte alle questioni della vita, da maschio, maschio come il padre; così come per la femmina con la madre.

Altra domanda che ci siamo poste è se la vostra richiesta parte dai comportamenti che i bambini manifestano e che lasciano in dubbio il genitore se sono da minimizzare o se invece preoccuparsi.

Mi riferisco ora a citazioni tratte dal Manuale di psicanalisi dell’età evolutiva – dott. Volpi, Edito da Analisi Psicologica. Iniziatore della ricerca scientifica operativa nella psicoanalisi e nell’educazione, nonché iniziatore della formazione psicanalitica a cui noi facciamo riferimento.

… L’interesse del bambino per le proprie feci, per le proprie urine e per gli organi genitali incomincia molto presto. Già nei primissimi giorni, se lo si lascia dormire nudo, si possono osservare frequenti erezioni del pene del maschietto. È difficile rendersi conto di analoghe risposte della vagina dal momento che l’erezione avviene all’interno del corpo della femminuccia.

Se possono starsene senza pannolini, i bambini di pochi mesi si toccano volentieri il pene e la clitoride, indice che la sensibilità in queste parti del corpo è presente fin dal principio, e solo la relativa inaccessibilità per tutto il periodo in cui non hanno ancora imparato a non sporcarsi gli impedisce di essere regolarmente stimolate ed esplorate.

La suzione del pollice, interpretata per lo più come compensatoria in sostituzione del capezzolo assente, si è visto che può iniziare ancora prima della nascita. Anche quando ricompare, o compare, in bambini più grandicelli magari alla nascita del fratellino, si tratta di solito della ripresa di una serie di comportamenti che erano stati di quel bambino quando era piccolo, quindi, più che di una forma compensatoria si tratta di altro.

La suzione, pur di per sé piacevole, è prima di tutto un modo per conoscere se stessi e per mettersi a confronto con gli altri. Infatti il bambino usa la bocca per prender contatto con tutte le parti del suo realtà; è il primo, più importante punto di riferimento, ma anche l’ultimo che, facendovi ricorso, possa venire meno.

Il proprio corpo c’è sempre ed è a portata di mano.

Il genitore omologo è il primario riferimento emotivo per il figlio .

Il genitore altro è riferimento per il figlio in quanto principale testimone dell’esistenza del rapporto d’amore: omologo- figlio.

Per il figlio l’abbraccio del genitore omologo, è il modo più efficace per recuperare se stesso, per corpo che riesce a raggiungere ( mani, braccia, piedi) oltre che le parti della nutrice e degli altri che hanno a che fare con lui( mammella, torace, braccia, guance, naso…)

Così porta alla bocca tutto quanto gli interessa fra gli oggetti che lo circondano e ciò indipendentemente dall’essere stato gratificato o meno sul piano orale. E’ per conoscere.

L’esplorazione del proprio corpo e delle sue funzioni, non aspetta un momento particolare per incominciare. Essa inizia con la maturazione stessa del sistema percettivo e rappresenta una costante del nostro equilibrio personale e pertanto non può mai dirsi esaurita, dato che il nostro corpo non cessa mai di cambiare.

È possibile assimilare la suzione del pollice alla masturbazione se quest’ultima viene intesa nel suo significato di esplorazione del proprio corpo. La masturbazione può essere considerata anche strumento di riconoscimento del proprio corpo in situazioni presumibilmente per il bambino, difficili, come avveniva con la ripresa del succhiarsi il dito.

È allora un modo per riprendere contatto con se stessi, quando si ha l’impressione di perdere o effettivamente si perdono, i punti fondamentali di riferimento… .
Il proprio corpo rappresenta un punto di riferimento verificabile continuamente, in quanto dato di riprendere la sensibilità del proprio corpo, ritrovarsi .

È prevenzione al disagio emotivo, è terapia per chi ha disturbi emotivi, è nel nostro caso, antidoto alla masturbazione. Quando la masturbazione è intesa come ansia da contenere, è angoscia di perdersi, di perdere contatto con se stesso, potremmo ben dire ” di perdere la propria primaria risorsa” perdere la fiducia nella propria capacità di farcela.

Come i bambini che all’asilo, lontani dalla famiglia, dalla propria casa, perdono i loro naturali riferimenti arrivando, per alcuni, ad una così forte perdita di se stessi, della propria storia, da dimenticare anche il nome della mamma e del papà.

Da cosa deriva questo malessere che sembra enorme ed ingiustificato?

I genitori, per la loro specifica funzione di riferimento emotivo, sono sentiti dal figlio quando possono essere fisicamente presenti, nell’area percettiva del figlio, che ne può sentire la voce, l’odore, vederli; quando i genitori non possono esserci, sono fisicamente lontani, per il figlio è come se non esistessero più, come se venisse perso il legame d’amore che lo unisce a loro.

I genitori non esistono più e quando ritornano fisicamente, per il bambino è doloroso recuperare il legame, perché nel frattempo ha sperimentato il dolore della perdita, del sentirsi abbandonato, il timore di essere dimenticato. Anche per un bambino dell’età della scuola materna lo stare lontano fisicamente dal genitore, può significare il non esserci più dei genitori, nel senso di trovarsi senza riferimento emotivo, in balia della propria emotività. Emotività per altro sconosciuta al bambino, quindi senza esperienza per saperla gestire.”

Dal lavoro di gruppo emerge il riconoscimento condiviso fra i componenti di tener conto dei tempi personali di crescita ed emotivi dei bambini. Tempi diversi, sia da quelli scanditi dal calendario, sia diversi da individuo ad individuo.

Per tale motivo si sottolinea l’unicità dell’intervento del genitore, l’unico che può sintonizzarsi con i tempi emotivi del figlio. In modo specifico il genitore omologo. Essere maschio o femmina, non è la stessa cosa, c’è una diversità forte anche nel vivere tutte le sfere della personalità.

La sessualità è quindi strettamente legata all’identità, alla crescita globale della persona.

C’è un po’ di incredulità nel pensare al toccarsi del bambino come segnale di disagio, si preferirebbe considerarlo un fatto normale, mentre normale è il bisogno del bambino di ritrovare se stesso nei momenti di stanchezza e fatica. Viene sottolineato però come il genitore senta disagio, fastidio, di fronte al figlio che si tocca e non solo per stili morali e culturali ricevuti. Il genitore sta sentendo il disagio che il figlio sta vivendo.

C’è anche sollievo nel sentire del legame d’amore tra figlio e genitore, nel poter considerare la profondità e consistenza del sentimento come elemento portante della crescita.

Emergono dubbi, paure di sbagliare, senso dell’irreparabilità dello sbaglio, timore dell’essere nella norma o non esserlo, incertezza sul modo di affrontare le questioni con i figli ( usare termini scientifici o no).

Tutti questi stati d’animo e modi di sentire del genitore, sono da rimandare al figlio.

Il sentire attraverso l’amore, non ha bisogno delle parole, anzi le parole possono fuorviare la verità. Il figlio attraverso le parole o gli atteggiamenti può nascondere la verità di ciò che vive senza rendersene conto. In questi casi il genitore, pur rispettando e dando credito a quanto il figlio gli fa vedere, percepisce che il figlio sta attuando un mascheramento, senza magari averne la chiarezza e il più delle volte attribuisce a se stesso quelle colpe o incapacità che sono le stesse che il figlio vive e che maschera.

Emerge l’incredulità nel sentire che i genitori sanno dire quanto i figli non osano dire, magari perché temono di soffrire o quando, in modo ambivalente, cercano l’amore del genitore che è quanto hanno bisogno ma nello stesso tempo negano di cercarlo. L’amore del genitore è desiderato, ma di fronte al sentirsi deboli, perché bisognosi dell’amore dei genitori, preferiscono ” essere autonomi ” fingendo una forza che ancora non hanno.

È il figlio che non ha l’esperienza del decidere, dello scegliere, sente lo sbaglio come irreparabile, si sente giudicato, compromesso nell’essere amato. Per il bambino sentirsi cattivo equivale a non essere degno dell’amore del genitore così come sentirsi incapace equivale a non meritarsi l’amore del genitore.

Emerge l’interrogativo sul genitore altro (dell’altro sesso), sul significato della sua relazione con il figlio.

È la figura verso la quale il figlio si rivolge quando riferirsi all’omologo è emotivamente troppo forte, non si riesce; il genitore altro è quindi la persona che può orientare il figlio verso il suo primario riferimento, l’omologo.

Escono alcune dinamiche di coppia, e del figlio nella coppia.

Quando il figlio ha poca stima di se stesso svaluta il genitore omologo: infatti ciò è segnale di svalutazione del figlio nei confronti di se stesso. Sul genitore, il figlio mette quanto pensa di se stesso, le incapacità, le colpe che il figlio ha verso di sé le esprimerà attribuendole al genitore (basta pensare a quanto spesso i figli danno la colpa ai genitori di quanto loro non fanno).

Quando poi il figlio coinvolge l’altro genitore in questa sua proiezione ottiene il risultato di mettere un genitore contro l’altro. Lo stesso avviene all’esterno della famiglia, quando ne viene coinvolto un educatore che svalutando il genitore o entrambi, si ritrova ad essere contro la famiglia. La stessa cosa si verifica poi fra un insegnante e l’altro etc.

Si mettono anche in evidenza le risorse della coppia dei genitori, la possibilità, essendo in due, di poter cogliere più aspetti del figlio, che essendo spesso in confusione, facilmente disorientato, può vivere in modo conflittuale o ambivalente una stessa cosa: “Desidero avere tanti amici, ma quando sono con gli altri sono a disagio tanto che non riesco a stare bene ” è la situazione in cui c’è una sensibilità scoperta non ancora pronta per vivere queste esperienze in modo piacevole e soddisfacente, quindi diventano motivo e fonte di disagio. Si è portati a pensare che il disagio fortifichi la personalità, è invece l’esperienza dell’amare e dell’essere amati che dà la forza per affrontare e attraversare disagi anche tragici quanto il lutto del genitore.

Si considera come il figlio tende a separare i genitori perché avendo poca esperienza dell’amore tende a sentirsi defraudato dall’amore che il genitore omologo riserva al coniuge, come se uno escludesse l’altro. In effetti per il bambino l’amore è come una torta che se si divide ne viene a mancare un pezzo e lui la torta la vuole tutta per sé. Con l’esperienza dell’amare la mamma e il papà, comprenderà che ogni legame ha un suo specifico senza nulla togliere all’altro.

Emerge a questo punto nel gruppo una rinnovata attenzione e desiderio di riferirsi alla coppia, di sentirsi coppia e di sentire la forza della propria coppia per accogliere e rispondere alle richieste dei propri figli.

Infine si mette in evidenza come i genitori, nel carico della loro responsabilità hanno la risorsa a cui attingere per sostenerne la gravità, ed è la loro relazione di figlio vissuta con i loro genitori. Siamo un po’ portati a pensare che l’esperienza trascorsa da figli possa essere come un peso che potrebbe influire negativamente sui figli, questo avviene perché il bambino fa fatica a credere in se stesso, e gli adulti trascinati da questa incredulità fanno fatica a credere di avere le risorse per poter aiutare i figli nel migliore dei modi. A volte sembra al genitore di sentire l’inutilità del proprio agire, se il bambino sta vivendo dentro di sé una fatica tale nel mantenere il proprio benessere anche lontano da casa che gli sembra tutto inutile, si scoraggia, diventa apatico o rabbioso, “non gli va mai bene niente”. Spesso allora si rincorrono sapienze altrui svalutando la ricchezza che abbiamo già in noi. Come i figli che spesso (si dice) apprezzano di più quanto sta nel piatto dell’altro che non nel proprio. Ma è dal proprio che trovano nutrimento.

L’esperienza di questa serata insieme è stata sicuramente molto partecipata, sono potute emergere diverse situazioni cariche di emotività, in quanto i genitori si sono fatti portavoce delle emozioni non espresse dei figli; sono state così colte diverse richieste di aiuto da parte dei bambini, insieme ad una rinnovata speranza (e dunque commozione) che l’amore del genitore possa davvero far star bene e dissipare i sentimenti di accusa, difficoltà, fallimento, così come in generale le paure del bambino riguardo i cambiamenti, la propria crescita e la propria identità sessuale.